giovedì 12 agosto 2010

Il potere dell'handicap indotto

Quando si parla di disabilità spesso ciò che viene dimenticato è il potere dell'handicap indotto.
La parola "handicap" significa "svantaggio". E la condizione di svantaggio, derivante da un handicap connaturato, spesso è aggravata da un handicap definito "indotto", che limita le possibilità di una persona.
Che cos'è l'handicap indotto?
Sono tutte quelle difficoltà di sviluppo umano, generate da azioni educative che riducono l'autonomia della persona e ostacolano la manifestazione delle sue potenzialità e risorse.
Parliamo di tutte quelle azioni educative che vengono quotidianamente agite in famiglia, a scuola, nei gruppi di socializzazione, negli ambienti professionali, etc.
Creiamo "handicap" ogni qual volta vediamo la persona con disabilità nei suoi limiti e ci sostituiamo a lei, senza vederne le risorse. Basti pensare alla nostra difficoltà di saper aspettare, ovvero di saper "assistere" la persona senza intervenire secondo i nostri criteri di efficacia e saper graduare il nostro intervento a seconda dei bisogni dell'altro e non dei nostri. Pensiamo a genitori, amici, insegnanti, professionisti, mossi dalla buona intenzione di "aiutare", senza rendersi conto che così facendo non aiutano affatto, ma negano alla persona il diritto alla propria realizzazione.
Quanto influisce poi l'atmosfera che regna nei diversi contesti di vita? La persona, anche con handicap intellettivo grave, percepisce sempre l'atmosfera che la circonda e se essa è negativa è indotta a rispondere con manifestazioni altrettanto negative (es. rifiuto, rabbia, etc.).
E tutto questo non è da riferirsi solo alle persone con disabilità, ma ad ogni persona. Chi di noi può dire di non averlo provato?
Pensiamo al genitore che indipendentemente dall'età prende per mano il figlio nell'attraversare la strada. A quale bisogno risponde? Al suo bisogno di proteggere o al bisogno del bambino di imparare a prestare attenzione in prima persona ai pericoli?
E i ragazzi che non aiutano nei lavori domestici, perché, poverini!, hanno tanto da studiare? oppure perché altrimenti bisognerebbe rifare i mestieri che non fanno abbastanza bene?

Voglio condividere un ricordo...
Avevo 10 anni la prima volta che di nascosto presi in mano il ferro da stiro per sistemare il mio maglioncino preferito. Sembra un classico, ma successe proprio che suonò alla porta e lasciai il ferro caldo sopra il maglioncino che inevitabilmente si rovinò. Presa dall'ansia o dalla rabbia inciampai nel filo, rovesciandomi il ferro caldo addosso che mi procurò un'ustione di cui conservo come ricordo una cicatrice sul braccio destro. Non ho altri ricordi, se non che cominciai a stirare, e tanto più a mia madre non piaceva, tanto più per me era bellissimo! Ma la cosa che ancora oggi mi fa muovere qualcosa dentro è il ricordo di mio padre che mi diceva alla sera di aver mostrato orgoglioso ai suoi colleghi la camicia indossata stirata dalla figlia!
Non oso immaginare come fossero stirate le sue camicie, ma so quanto l'azione educativa di mio padre fu importante per la mia persona. Qualcuno avrebbe potuto stirarle sicuramente meglio, sicuramente non ero "abile", ma mio padre mi aveva dimostrato di credere in me e di andarne fiero!

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