venerdì 17 settembre 2010

IL RISCHIO DELLA PAZZIA

Può una persona avere un'etichetta su di sé dall'età di 15 anni e portarsela dietro tutta la vita?
Può una persona essere diagnosticata "schizzofrenica" solo perché una volta ha reagito con degli agiti esplosivi? Può una persona essere considerata "disabile" a vita per un handicap indotto?
Ci interessa la diagnosi o ci interessa aiutare l'altro a vivere meglio?
La non comprensione da parte degli specialisti e delle persone che costituiscono il nostro mondo affettivo e relazionale può indurci ad agiti tali da far pensare ad una patologia? Dove finisce la storia di una persona? in un'azione? 

Domande come queste mi assalgono di tanto in tanto. 
Non so darvi risposta, non sono un medico, non sono uno psicologo, sono solo una pedagogista. 
Ma la storia di X se mi fa sorgere questi dubbi, dall'altra mi conforta che il cammino fatto insieme, grazie alla collaborazione di una psichiatra che ha saputo credere nella collaborazione tra sanità ed educazione, stia dando risultati che sembrano miracolosi quando, invece, sono solo frutto degli sforzi di una persona "normale" che sta dando il meglio di sé, perchè per una volta è stato ascoltato, secondo i suoi tempi, e compreso. 


Caro X forse al tuo posto sarei impazzita!
Non guardi più l'orologio ogni cinque minuti, per la paura che sia finito il tempo a disposizione, ma ancora oggi ti è rimasta la paura di non avere tempo abbastanza quando vieni da me in studio. E venti minuti due volte all'anno avrebbero dovuto bastarti? Forse la tua storia potrebbe insegnare qualcosa alla nostra sanità pubblica, e non sto parlando degli specialisti!
Quando ti ho visto la prima volta avevi così tante cose da dire che non riuscivi ad organizzarle e ci impiegavi tantissimo. Ma oggi...
Se penso alla tua storia, mi dispiace, mi dispiace tanto, ma guardo avanti e sono felice di come ti vedo oggi. 
Sono felice di come stai crescendo, di come stai cambiando, della forza che stai trovando per dimostrare agli altri ed anche a te stesso che hai diritto di vivere diversamente
Mi hai sempre chiesto quale fosse il tuo livello di intelligenza, non ho mai potuto risponderti, ti dicevo che potevi andare da uno psicologo a farti calcolare il QI, ma non era importante. Vi hai impiegato tanto a comprendere che hai in te risorse e potenzialità, e oggi lo sai!


Oggi sai che quando ti mandavano fuori dalla classe con l'insegnante di sostegno di un bambino con ritardo mentale era perchè tu non riuscivi a relazionarti agli altri. Oggi sai che se alle superiori tutti i tuoi compagni ti avevano preso di mira, è perchè a quell'età i ragazzi nel gruppo tendono a prendersela con il più debole e non perchè ti "odiavano". 
Ti sei considerato per tanto tempo un "poverino", un "inganfito", forse vi è stato un "concorso di colpa", più lo pensavi più lo eri e più gli altri te lo facevano notare rendendoti sempre più "poverino". 
Ma oggi lo sai, 
sai che non ci sono colpe
è andata così, 
e concordo con te...
tutto questo anche se ti ha fatto soffrire 
ti ha reso migliore
oggi, come dici tu, "non sei un arricchito che non si rende conto del valore dei soldi", 
perché tu te li sei guadagnati tutti!

giovedì 12 agosto 2010

Il potere dell'handicap indotto

Quando si parla di disabilità spesso ciò che viene dimenticato è il potere dell'handicap indotto.
La parola "handicap" significa "svantaggio". E la condizione di svantaggio, derivante da un handicap connaturato, spesso è aggravata da un handicap definito "indotto", che limita le possibilità di una persona.
Che cos'è l'handicap indotto?
Sono tutte quelle difficoltà di sviluppo umano, generate da azioni educative che riducono l'autonomia della persona e ostacolano la manifestazione delle sue potenzialità e risorse.
Parliamo di tutte quelle azioni educative che vengono quotidianamente agite in famiglia, a scuola, nei gruppi di socializzazione, negli ambienti professionali, etc.
Creiamo "handicap" ogni qual volta vediamo la persona con disabilità nei suoi limiti e ci sostituiamo a lei, senza vederne le risorse. Basti pensare alla nostra difficoltà di saper aspettare, ovvero di saper "assistere" la persona senza intervenire secondo i nostri criteri di efficacia e saper graduare il nostro intervento a seconda dei bisogni dell'altro e non dei nostri. Pensiamo a genitori, amici, insegnanti, professionisti, mossi dalla buona intenzione di "aiutare", senza rendersi conto che così facendo non aiutano affatto, ma negano alla persona il diritto alla propria realizzazione.
Quanto influisce poi l'atmosfera che regna nei diversi contesti di vita? La persona, anche con handicap intellettivo grave, percepisce sempre l'atmosfera che la circonda e se essa è negativa è indotta a rispondere con manifestazioni altrettanto negative (es. rifiuto, rabbia, etc.).
E tutto questo non è da riferirsi solo alle persone con disabilità, ma ad ogni persona. Chi di noi può dire di non averlo provato?
Pensiamo al genitore che indipendentemente dall'età prende per mano il figlio nell'attraversare la strada. A quale bisogno risponde? Al suo bisogno di proteggere o al bisogno del bambino di imparare a prestare attenzione in prima persona ai pericoli?
E i ragazzi che non aiutano nei lavori domestici, perché, poverini!, hanno tanto da studiare? oppure perché altrimenti bisognerebbe rifare i mestieri che non fanno abbastanza bene?

Voglio condividere un ricordo...
Avevo 10 anni la prima volta che di nascosto presi in mano il ferro da stiro per sistemare il mio maglioncino preferito. Sembra un classico, ma successe proprio che suonò alla porta e lasciai il ferro caldo sopra il maglioncino che inevitabilmente si rovinò. Presa dall'ansia o dalla rabbia inciampai nel filo, rovesciandomi il ferro caldo addosso che mi procurò un'ustione di cui conservo come ricordo una cicatrice sul braccio destro. Non ho altri ricordi, se non che cominciai a stirare, e tanto più a mia madre non piaceva, tanto più per me era bellissimo! Ma la cosa che ancora oggi mi fa muovere qualcosa dentro è il ricordo di mio padre che mi diceva alla sera di aver mostrato orgoglioso ai suoi colleghi la camicia indossata stirata dalla figlia!
Non oso immaginare come fossero stirate le sue camicie, ma so quanto l'azione educativa di mio padre fu importante per la mia persona. Qualcuno avrebbe potuto stirarle sicuramente meglio, sicuramente non ero "abile", ma mio padre mi aveva dimostrato di credere in me e di andarne fiero!